UN “DECALOGO” PER USCIRE DALLA SCUOLA-AZIENDA E RIPRISTINARE LA SCUOLA DELLA COSTITUZIONE. CHE PROPORREMMO ALLA NEO-MINISTRA, SE RINUNCIASSE AD ESSERE UNA “PASDARAN” DELLA LEGGE 107

16 Dicembre 2016

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E’ parere largamente diffuso che, sebbene nell’oceanico NO alla riforma costituzionale abbiano certamente contato le volontà di difendere il poco che resta della democrazia istituzionale e della abbondantemente svilita Costituzione, l’elemento principale del NO sia stato il rifiuto delle politiche sociali ed economiche del governo Renzi, e in particolare della “cattiva scuola” della legge 107 e del Jobs Act. Ma Renzi, nell’imporre un governo-fotocopia, non ha tenuto in alcun conto tali ragioni del NO, riconfermando Poletti, responsabile del Jobs Act, invece di mettere mano – se non altro per evitare il nuovo referendum – almeno a significative modifiche dell’ignobile legge; e, dopo aver mantenuto al governo anche Boschi e Madia, autrici delle altre due riforme bocciate (Costituzione e P.A.), ha silurato solamente la ministra Giannini, che non rimpiangeremo ma che ha solo firmato la distruttiva legge 107, scritta in realtà dai responsabili scuola del PD. Tant’è che la sostituzione al MIUR ha premiato Valeria Fedeli la quale, oltre ad essere una “pasdaran” renziana, è soprattutto una convinta sostenitrice della legge. Così stando le cose, potrebbe apparire inutile qualsivoglia tentativo di dialogo con la nuova ministra. Pur tuttavia, date le drammatiche condizioni in cui versa la scuola pubblica e i suoi protagonisti, investiti dalla disastrosa legge 107, a compimento di un ventennio di crescente immiserimento materiale e culturale, ci riteniamo in dovere di presentare una sorta di “decalogo” su cui la ministra potrebbe riflettere, nell’eventualità – certo remota – che decidesse di abbandonare la difesa di una legge indifendibile e la nefasta logica della scuola-azienda, per ripristinare i fondamenti della scuola della Costituzione.
1) Gestire la mobilità con titolarità su scuola e non su ambito, ponendo fine agli incarichi triennali non rinnovabili decisi dal preside.
2) Ridefinire l’organico delle scuole: tutti i/le docenti insegnino e tutti/e si facciano carico degli altri compiti necessari per il funzionamento della scuola, riducendo l’orario di cattedra.
3) Destinare i fondi, previsti per la valutazione del sedicente “merito” dei docenti, per la Carta del docente e quelli del Fondo di istituto, alla contrattazione nazionale per un aumento in paga base che, insieme a nuovi fondi da stanziare per il contratto,  garantisca a docenti e Ata il recupero di almeno una parte significativa di quel 20 % di salario perso in 7 anni di blocco contrattuale.
4) Rifiutare l’introduzione del “welfare contrattuale”, che destina parte degli aumenti contrattuali a diritti sociali che, costituzionalmente, devono essere garantiti dallo Stato.
5) Assumere i precari – docenti ed ATA – con almeno 36 mesi di servizio su tutti i posti disponibili in organico di diritto e di fatto.
6) Ampliare l’organico ATA, re-internalizzare i servizi di pulizia, eliminare il divieto di nominare supplenti per assistenti amministrativi e tecnici anche per periodi prolungati, e nominare i supplenti per i collaboratori scolastici anche per i primi 7 giorni.
7) Contro l’inaccettabile obbligo per gli studenti delle superiori di 400/200 ore di “alternanza scuola-lavoro”, ridare alle scuole la libertà di istituirla o meno, e di determinarne il numero di ore. 8) Eliminare i quiz Invalsi come strumento per valutare scuole, docenti e studenti. 9) Ridurre il numero degli alunni per classe, utilizzando per l’insegnamento i docenti dell’organico di potenziamento. 10) Ripristinare la democrazia nelle scuole, restituendo ai lavoratori il diritto di partecipare alle assemblee indette da qualsiasi sindacato che abbia presentato liste alle elezioni RSU. Applicare un sistema proporzionale di voto senza sbarramenti per la rappresentatività e per l’accesso ai diritti sindacali, con un voto a livello di scuola, uno a livello regionale e uno nazionale per determinare la rappresentatività dei sindacati ai tre livelli.

 

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