Il governo Gentiloni è una sfacciata fotocopia del precedente, con un prestanome alla guida. Neanche le batoste popolari insegnano niente a Renzi e ai suoi.

12 Dicembre 2016

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Abbiamo scritto nei giorni scorsi che l’ondata dei NO che ha travolto Renzi e il suo governo è certo dipesa anche dalla volontà generalizzata di difendere ciò che resta di una democrazia istituzionale già massacrata da un ventennio di “maggioritario”, nonché una Costituzione già drasticamente ridimensionata da tutti i governi degli ultimi decenni; ma che ancor più decisivo, è stato il netto rifiuto popolare delle politiche sociali ed economiche del governo Renzi, e in particolare della “cattiva scuola” della legge 107 e del Jobs Act.
Del peso che sui NO hanno avuto tali leggi, si sono mostrati consapevoli quasi tutti i commentatori politici ma, almeno così pareva, anche Renzi e il PD.
In tal senso, le voci sugli imminenti “licenziamenti” dei due ministri/e (oltre a quelli della Boschi, “titolare” della sciagurata riforma costituzionale e della Madia, responsabile della altrettanto indigeribile riforma della P.A) ai quali venivano addebitate le due ignobili leggi, potevano far credere ad una volontà almeno di eliminare alcuni dei punti maggiormente scandalosi di essi.
Macché: la composizione effettiva del governo ci mostra una spudorata fotocopia del precedente governo, con un prestanome alla guida, con la stragrande maggioranza dei ministri rimasti al loro posto, Boschi solo spostata di scranno, Poletti e Madia inamovibili (e dunque piena conferma del Jobs Act e della riforma P.A.), con qualche scambio di ruoli – modello “al peggio non c’è mai fine” – tipo Minniti agli Interni e Alfano agli Esteri, e con un solo, vero licenziamento, quella della Giannini, evidentemente l’unica della “banda” a non avere santi nel “paradiso” PD.

Solo che la sostituzione della Giannini – che di certo non verrà rimpianta – con Valeria Fedeli è uno di quei casi in cui il detto “dalla padella alla brace” calza a pennello.
Infatti, mentre la maggioranza dei docenti ed Ata guarda con sconforto e sconcerto alla definitiva affermazione della “scuola fabbrica”, con presidi padroni alla Marchionne, Renzi piazza al MIUR una sua pasdaran, Valeria Fedeli, che, prima di divenire vicepresidente del Senato, era stata per dieci anni alla guida dei tessili della Cgil e che successivamente, per almeno quindici anni, si era occupata solamente di politica industriale liberista, cooperando con Bersani ed altri sull’esaltazione della competitività aziendale, e non occupandosi mai di scuola se non per condividere la sua subordinazione alle esigenze delle aziende liberiste, secondo le linee-guida della poi abortita riforma Berlinguer.

Con questi precedenti temiamo che la 107 , con i suoi presidi onnipotenti, la grottesca Alternanza scuola-lavoro coatta, il ridicolo “bonus” distribuito ai più “fedeli” (appunto), l’umiliazione e l’espulsione di una moltitudine di precari, non verrà certo intaccata da pacate discussioni/contrattazioni al MIUR, con una ministra che, agognando piuttosto ad occuparsi di competizione industriale, vedrà di buon occhio la mutazione delle scuole in fabbriche, con docenti ed Ata mutati in “operai flessibili” disposti ad ogni incombenza per aumentare la “produttività” dell’azienda-scuola e con, al di sopra, il suddetto preside simil-Marchionne.

Insomma, se a questo aggiungiamo la farsesca “offerta” contrattuale (dopo 7 anni di blocco e di perdita salariale del 20%) di circa venti euro lordi medi di aumento mensile (in base non alle chiacchiere governative ma alle cifre effettivamente stanziate nella Legge di stabilità), con in più l’introduzione nel contratto di tutto il peggio della 107, crediamo che l’unico “contatto” efficace con la nuova ministra lo avremo solo portandole sotto le finestre del MIUR considerevoli cortei di docenti ed Ata, magari insieme a studenti e cittadini desiderosi di difendere e migliorare la scuola pubblica.

Piero Bernocchi
portavoce nazionale COBAS

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