Il Dpcm del 3 novembre e l’inclusione: LA PEZZA PEGGIO DEL BUCO, MOLTO PEGGIO!

25 Novembre 2020

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Che il Governo, i Presidenti di Regione e i Sindaci abbiano commesso degli errori madornali non ci sono dubbi.

Più volte avevamo denunciato che se si voleva “ripartire” e riaprire le scuole in presenza, bisognava avere un piano preciso: investimenti sul personale, sulle infrastutture e sui trasporti.

Gli arguti politici di turno, solo il 3 Novembre, quando la situazione era oramai fuori controllo, dichiarano “Vogliamo intervenire in maniera chirurgica per evitare un lockdown generalizzato, i luoghi del contagio sono i trasporti pubblici, treni, pullman, bus….”

Incredibile! Che scoperta, meritano il premio Nobel: si sono accorti che i luoghi del contagio sono i trasporti? Peccato che tutto ciò è venuto fuori quando l’indice RT ha superato abbondantemente la soglia di attenzione, l’1,5%

E, quindi, alla luce di questa inestimabile scoperta, cosa si propone per contenere il contagio? Nel DPCM del 3 Novembre 2020 all’articolo 3 comma 4 lettera f, scrivono:

fermo restando lo svolgimento in presenza della scuola dell’infanzia, della scuola primaria, dei servizi educativi per l’infanzia di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65 e del primo anno di frequenza della scuola secondaria di primo grado, le attività scolastiche e didattiche si svolgono esclusivamente con modalità a distanza. Resta salva la possibilità di svolgere attività in presenza qualora sia necessario l’uso di laboratori o in ragione di mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali, secondo quanto previsto dal decreto del Ministro n. 89 dell’istruzione 7 agosto 2020, e dall’ordinanza del Ministro dell’istruzione n. 134 del 9 ottobre 2020, garantendo comunque il collegamento on line con gli alunni della classe che sono in didattica digitale integrata;

Le scuole sono ormai sotto pressione continua da inizio anno per le richieste in itinere, molto spesso letteralmente da un giorno all’altro, di modifiche sostanziali dell’organizzazione interna delle lezioni, man mano che si susseguono DPCM o ordinanze varie. Ogni volta si butta nel cestino il lavoro (organizzativo) fatto fino a quel momento e si ricomincia da capo, come in un gioco mostruoso di scatole cinesi. Ma a questo si può sopravvivere in epoca di pandemia, abbiamo le spalle larghe e conosciamo il nostro mestiere.

Ciò a cui non riusciamo a credere, prima ancora che a dare risposta, è l’ordine di accogliere a scuola gli allievi BES senza la presenza dei loro compagni, ai quali invece si ordina di rimanere a casa in DaD.

La scuola italiana si avvale della più avanzata legislazione scolastica sull’Inclusione, quella reale però. Che viene perseguita con grande fatica da anni (nonostante i numerosi e ripetuti tagli alla spesa pubblica) e che molti Paesi europei ci invidiano perché è frutto di una rivoluzione culturale, prima che normativa. Quando diciamo che “la scuola è di tutti”, quando parliamo di “diritto allo studio” è a questo che ci riferiamo: alla capacità di predisporre spazi, non solo fisici, per tutti gli allievi che ne hanno diritto, ciascuno secondo le proprie personali necessità; a rendere tali spazi significativi e ricchi di senso; a nutrire tali spazi di relazioni interpersonali tra pari e con gli adulti di riferimento; a contribuire alla costruzione di una società di diritto dove ognuno senta di essere rappresentativo per la sua parte.

In molte scuole da sempre l’accoglienza è il punto di partenza per ogni percorso formativo e didattico. Quel punto del DCPM è una palese violazione dell’inclusione, rappresenta un rovinoso e inaccettabile capitombolo all’indietro in anni di separazioni e discriminazioni. L’applicazione di un dcpm disattende una legge dello Stato, la L. 104 del 1992, legge quadro importantissima per la storia della scuola italiana e dei servizi alla persona.

Infine crea rotture e disarmonie nel lavoro didattico: siamo riusciti ad adattarci ad ogni singola direttiva fino ad oggi, passando dalla presenza completa delle classi di inizio anno (distanziamento, DPI, arieggiamento locali, igienizzazione continua, riorganizzazione totale degli spazi scolastici, modificazioni degli orari) alla successiva necessità di dimezzare le classi in presenza, in ultimo alla richiesta di avere in presenza, a rotazione, solo il 25% degli allievi di ogni classe. Molte sono le scuole che hanno prontamente risposto alle sollecitazioni ministeriali rimettendosi al lavoro, in una rincorsa esasperata e a volte paradossale di tempi sempre più stretti e modalità ogni volta nuove. Non ci siamo arresi, non abbiamo intenzione di farlo. Finché ci sarà possibile vorremo lavorare facendo la nostra parte.

Ma l’inclusione non esiste senza il gruppo, è metterci una pezza, è far finta di togliersi il pensiero, è tentare di mettersi a posto la coscienza e dire “le scuole, anche in Italia, sono rimaste aperte”. Ma il governo ha pensato alla ferita che si infligge a bambini o adolescenti con bisogni particolari? Ha pensato a cosa vuol dire per loro entrare in una scuola priva dei loro compagni di classe e nella quale sono presenti solo i diversi? Ha pensato che in poche settimane queste pratiche possono far naufragare gli interventi educativi e di inclusione su cui i loro docenti hanno lavorato per anni? Non si include portando a scuola “gli alunni con bisogni educativi speciali” e lasciando a casa tutti gli altri. Solo chi cerca di vivere realmente pratiche inclusive in ogni ambito della società può capire di cosa stiamo parlando e di quanta violenza facciamo a noi stessi nel dover rispettare i contenuti dell’ordinanza.

La discriminazione, e gli addetti ai lavori lo sanno bene, investe in pieno anche i docenti e li spacca in due in un momento delicato in cui più che mai è importante il lavoro di squadra: da una parte gli insegnanti curricolari rimangono a lavorare perlopiù da casa in DaD; dall’altra gli insegnanti di sostegno sono i soli tenuti alla presenza, sui quali ricade la responsabilità didattica degli allievi presenti a scuola, disattendendo la contitolarità dell’insegnamento e la reale condivisione della didattica.

E’ VERGOGNOSO e UMILIANTE tenere una scuola aperta solo per gli allievi disabili: la scuola non è un parcheggio. La scuola, per cui ci siamo battuti e ci batteremo sempre, è per eccellenza il luogo della cultura, socialità, crescita e integrazione.

ESECUTIVO NAZIONALE COBAS – COMITATI DI BASE DELLA SCUOLA

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